A proposito di Arsène e il suo Arsenal e altre cose
Quando Arsène Wenger diciotto anni fa ha preso la guida dell’Arsenal, tutti si sono domandati da dove saltasse fuori quell’alsaziano altissimo e magrissimo, freddo e cerebrale – sempre elegante e pacato. Una specie di fusione tra una lucertola e un’aquila anoressica con un buffo accento francese. Era appena tornato dal Giappone dove aveva allenato per una stagione il Nagoya Grampus Eight, “celebre” club locale, vincendo la “prestigiosa” coppa dell’Imperatore e dove si appassionò al sumo e alle idee di fondo della filosofia buddista. In pochi anni questo stravagante signor nessuno ha trasformato il “boring Arsenal” – tradizionalmente una delle squadre più noiose e ingolfate del pianeta – in una cosa bella, divertente e vincente. Sotto la sua guida l’Arsenal è tornato a vincere, esprimendo un gioco mai visto al di là della manica. Il suo capolavoro sportivo resta la stagione 2003-2004, la stagione degli “Invincibili”: l’Arsenal è riuscito a vincere il campionato senza mai perdere una partita – nessuno era mai riuscito in un impresa simile e nessuno l’ha ancora replicata. Arsène peraltro aveva già profetizzato tutto in una conferenza stampa di inizio stagione: «Nessuno farà meglio di noi. Non mi stupirei se restassimo imbattuti per tutto il campionato». Ovviamente tutti si presero gioco di lui, la cosa scatenò l’ilarità generale, gente che cadeva dalle sedie e grandi risate: … poveri mortali, ancora non sapevano che «Arsène kwons». Se qualche blasfemo pedante osasse chiedersi Come Fa A Saperlo?, beh io al tempo credevo che Arsène fosse una specie di highlander che esiste da sempre e sempre esisterà e che conosce i segreti di tutti i mondi. Pensate anche al suo look: indossa gli stessi identici completi squadrati da quando lavora all’Arsenal: completi che sembrano di qualche taglia più grandi del dovuto, con una gamma cromatica fissa che va dal grigio chiaro al blu – la cravatta sempre rossa. Un po’ come quei personaggi dei cartoni che sono vestiti sempre allo stesso modo, e lo saranno sempre. Come ogni personaggio leggendario, Arsène aveva la sua nemesi: Sir Alex Ferguson. L’operaio scozzese, infuocato, brutale, scalmanato, rozzo e grassoccio contro l’economista francese poliglotta, ascetico e scettico, saggio e triste come un poeta. Il calcio come guerra vs il calcio come arte. Sono stati anni gloriosi, di sfide mozzafiato, di grandi battaglie, di testa a testa estenuanti e grande rispetto reciproco. Tutto il mondo del calcio osservava estasiato questa lotta tra titani e prendeva appunti. E Arsène aveva il suo campione, quello che forse resta il suo gioiello più pregiato: Thierry Henry, che tutt’ora si gioca con Batman il posto di mio super-eroe preferito. Tutto era magnifico.
Poi c’è stata la tragica notte del 17 maggio 2006: l’Arsenal, pur avendo difeso eroicamente in dieci uomini il vantaggio fino all’ottantesimo, alla fine cade e perde a Parigi la finale di Champions contro il Barcellona per 2 a 1. Dopo quella sera, Arsène è diventato l’unico allenatore ad aver perso tutte le finali delle maggiori competizioni europee (Coppa delle coppe, Coppa Uefa e Champions League appunto). Che è un po’ come dire che è diventato il numero uno del fallimento, tipo un Mourinho alla rovescia.
Poi il nulla. Solo cessioni eccellenti l’una di fila all’altra: quando un giovane talento sembrava pronto per la definitiva maturazione ecco che prontamente Arsène lo vende, spesso peraltro a una diretta concorrente (si vedano i casi di Anelka, A. Cole, Clichy, Nasri, Van Persie, etc.). Altri talenti cristallini e commoventi come Rosicky e Diaby, straziati dagli infortuni, sembrano essersi persi per strada. Bisogna dire che l’Arsenal ha dovuto sobbarcarsi le spese di un costosissimo trasloco, trasferendosi dal leggendario e sacro e inglesissimo Highbury, al mega super nuovissimo Emirates Stadium, che per ora francamente sembra portare un po’ sfiga. L’unico titolo vinto dall’Arsenal da quando ci siamo trasferiti – la F.A. Cup dell’anno scorso – infatti l’abbiamo vinto in “trasferta”, a Wembley.
Resta però che Arsène ha insegnato al calcio inglese come non sia necessario essere degli scozzesi sovreccitati e paonazzi con un particolare feeling col whisky per allenare con profitto una squadra d’oltremanica. Ha insegnato all’Inghilterra come il calcio possa essere uno spettacolo di tecnica e bellezza e proprio per questo essere vincente. Se la Premier League ora è il campionato più spettacolare e divertente del mondo è grazie a quello che Arsène ha fatto vedere con il suo Arsenal.
Posso vantare una ridicola esperienza di calcio giocato, ma è sufficiente per apprezzare l’assurda impossibilità di quello che l’Arsenal a volte riesce a fare vedere durante una partita. Andatevi a vedere il gol di Wilshere della stagione scorsa in casa contro il Norwich. Questa rete è tra le cose più eleganti, armoniose e incantevoli che abbia visto in vita mia. Andresti avanti a guardarla in eterno. E’ come se le leggi della geometria e della fisica si trasformassero per chi applica gli schemi di Arsène. A noi umani non è concesso nemmeno di pensare a fraseggi così rapidi dipinti in spazi così stretti – loro li sanno fare. Efficacia ed eleganza diventano una cosa sola: il passaggio più utile è anche sempre il più bello. E questa è magia. Tutto ciò è l’incarnazione del buddismo zen di Arsène: non dovete essere voi a giocare, deve essere il gioco a giocare attraverso di voi, deve essere il calcio a “giocarvi”, così che emerga l’armonia dell’universo (sono consapevole del fatto che in tutto ciò ci sia un qualcosa di folle). Ma c’è anche dell’altro.
C’è che Arsène è una persona strana. Se una volta ero convinto fosse una specie di saggio immortale (tipo il maestro Splinter delle tartarughe ninja), ora sono abbastanza sicuro che sia un comune mortale, ma resta comunque un tipo bello strano. E lo è non tanto per come fa il suo lavoro di tecnico, ma per come lo arricchisce e lo complica con un sacco di cose pretenziose e stravaganti. Perché Arsène non è uno, ma molti e il suo repertorio di eccentricità è sterminato. Alcuni esempi presi un po’ a caso: ci ha donato analisi socio-economiche («tutti noi abbiamo realizzato che il modello comunista non funziona a livello economico, ma anche quello capitalistico sembra insostenibile nel mondo moderno»), slogan da pubblicitario («Noi non compriamo superstar. Noi le costruiamo»), uscite da gentleman («una squadra di calcio è come una bella donna. Quando non glielo dici, se ne dimentica»), neologismi («il rigore era “Old Traffordish”»), battutone da vero Gunners («ho cercato di guardare il Tottenham in tv, in albergo, ma mi sono addormentato»), frecciatine ciniche rivolte a leggende a cui tutti vogliono un sacco di bene come Paul Scholes («non è che perché sei vecchio, allora devi essere per forza un santo»). Poi ci sono le immancabili massime da maestro zen: «non ha importanza quanti soldi guadagni, comunque potrai mangiare solo tre volte al giorno e dormirai in un letto». E poi c’è la sua ossessione per la dieta: «In Inghilterra si mangia troppo zucchero, troppa carne e poche verdure». C’è il suo relativismo da uomo di mondo: «ognuno è convinto di avere a casa la moglie migliore». E queste non sono stronzate da lobotomizzati stile Scientology (che è ben infiltrata ovunque ci siano soldi, quindi in primis nello sport), ma cose serie: «quel che rende interessante la vita quotidiana è la capacità di trasformare in arte ciò che facciamo. Ecco, io quando vedo il Barcellona, vedo arte». E infine c’è il suo senso dickensiano della professione: «nel mio lavoro, prevedi di soffrire. Ecco perché quando un giorno andrò all’inferno, per me sarà meno doloroso che per voi. Io sono abituato alla sofferenza». Bisogna tenere a mente tutto questo se si vuole capire come Arsène sia forse il più grande genio incompreso di questo secolo.

E insomma, come capirete dall’ultima citazione (che risale al 2011), ultimamente le cose non è che vadano proprio alla grande. I momenti di gioco spettacolare si fanno sempre più rari, così come ormai le umiliazioni si sono fatte tristemente all’ordine del giorno: l’anno scorso Arsène ha festeggiato la sua millesima partita da allenatore dell’Arsenal con una sconfitta per 6 a 0 in casa del Chelsea. Poi è arrivato il disastro di Anfield, 5 a 1 per il Liverpool. Sicuramente ce ne sono state altre, ma se non vi fa niente mi fermerei qui. Anche le sue capacità profetiche sembrano essersi un po’ appannate. A settembre in conferenza stampa Arsène aveva predetto che Oliver Giroud, l’attaccante della squadra, quest’anno avrebbe segnato almeno 20 gol. Bene, il giorno dopo è arrivata la notizia che il bomber dovrà starsene fuori per ben sei mesi: «Arsène knows». Sanogo, un under-21 francese acclamato come uno-in-grado-di-fare-cose-fenomenali che avrebbe dovuto stupire tutti (tranne Arsène ovviamente, lui «sa»), nonostante le numerose presenze non ha segnato manco un gol. Anche Debuchy, altro suo pupillo, non rivedrà il campo prima dell’anno prossimo – e ora abbiamo in rosa 5 difensori totali per coprire 4 ruoli. E poi pare Arsène che abbia rifiutato il ritorno a casa del figliol prodigo Fabregas: «che senso ha riprendere Fabregas quando abbiamo già un giocatore come Ozil?». Certo, come no: tralasciando il fatto che quest’ultimo di recente era precipitato al livello più basso della sua carriera e Fabregas invece sembra essere tornato a livelli strepitosi, resta che anche il campione del mondo, ammesso che si degni di rimettersi a giocare a calcio, lo rivedremo solo nel 2015. Ma tranquilli, «Arsène knows». Ultimamente poi, e per la prima volta nell’epoca Wenger, sembra essere in corso un processo di “inglesizzazione” della rosa. Chambers, Gibbs, Wilshere, Walcott, Oxlade-Chamberlain e Welbeck sembrano avere tutte le carte in regola per essere dei punti di riferimento per la nazionale inglese dei prossimi anni. Ciò probabilmente garantirà alla nazionale dei tre leoni di proseguire serenamente nella sua striscia storica di fallimenti.
Recentemente poi Arsène si è dato anche alle risse da bulletto. Per chi ancora non l’avesse visto, andatevi a vedere lo spintone rifilato a Mourinho nell’ultimo derby (perso, ovviamente) in casa del Chelsea. Qui il nostro maestro zen si è proprio incazzato – per quello che ne so è la prima volta che accade una cosa del genere e mi sono divertito parecchio. Ma la vera “wengerata” è stata poi il commento in sala stampa: «spingerlo? Lo avreste visto se ci avessi provato, suvvia». Tenete presente che il nostro uomo va per i settanta e peserà al massimo una cinquantina di chili. In questo senso Arsène mi ricorda un po’ Vegeta (che è sempre stato il mio personaggio preferito di Dragon Ball), con il suo “aristocratismo”, la sua arroganza e soprattutto la sua frustrazione: l’umanissimo principe dei Sayan che vive per essere il numero uno e non lo sarà mai.
Credo che ci sia poco da fare: «Arsène sa» più degli altri perché è più degli altri, ma purtroppo (o per fortuna) questo non c’entra niente col vincere. Insomma Arsène è tragicomico: ridicolo e caotico, cioè umano. Ed è un essere umano che mi piace, perché non è simpatico e non gliene frega niente di esserlo: è arrogante, altezzoso, egocentrico, borioso, ma lo è “alla Wenger”: è uno che si vive come un vincente, ma perde sempre. Nell’intervista dopo l’ultima partita (pareggiata) in casa contro l’Hull, Arsène se n’è uscito con un’altra delle sue: «Io posso capire qualsiasi cosa», così ha risposto schifato al giornalista che insisteva chiedendogli se stesse cogliendo le perplessità dei tifosi sul mercato estivo. Il suo meraviglioso cervello non è fatto per questi anni mediocri. E trovo che sia ammirevole, e anche divertente, il modo in cui resiste e insiste in tutto ciò – nonostante tutto lui spera e crede, perché lui «sa».
E Arsène fa ancora i suoi miracoli: vedere quei frangenti (rari, ok) nel corso di una partita dell’Arsenal in cui energia, agonismo, cattiveria, armonia, bellezza, ritmo e precisione – Dioniso e Apollo -, si fondono in un unico movimento di palla per me è una forma speciale di riconciliazione con il mondo. E credo che in tutto ciò ci sia qualcosa di religioso, nel senso più serio della parola (cioè mica dei, santi, sacramenti), ma riguardante cose vere come il mistero (tipo l’amore o il fatto di essere animali difettosi, cioè pensanti) o i miracoli in cui a volte ci imbattiamo nella vita (tipo gli assist di Aaron Ramsey).
Il fatto è che lo sport dovrebbe essere una specie di momento di tregua dalla cose sgradevoli della vita. La caratteristica principale dell’Arsenal di Arsène invece è proprio quella di ricordarci costantemente la materia di cui sono composte le nostre vite, cioè quel mix insolubile di speranza e frustrazione. E questo credo sia il capolavoro sommo di Arsène. Cioè aver donato a noi tifosi Gunners la consapevolezza che il calcio, come la vita del resto, forse non è fatto sempre per vincere. E che in tutto ciò può esserci comunque della bellezza – certo un po’ struggente. Che poi in fondo è la bellezza dell’Arsenal. L’unica cosa che Arsène ci chiede è di credere e sperare con lui in questa bellezza.
Onestamente credo che ne valga la pena.