C’eravamo tanto odiati. Kevin Garnett e Tim Duncan.
Avete presente quelle storie di due vite parallele, spesso vicine, che per loro stessa natura però tendono a non incontrarsi mai.
Quelle storie di due uomini agli antipodi, caratteri opposti, accomunati solo da una grandezza che, con le dovute differenze, ha caratterizzato entrambi.
Questa è una di quelle storie, due giganti e non solo in senso fisico, che hanno impresso a fuoco i loro nomi nella storia dello sport più bello del mondo (scusateci ma siamo di parte), nella storia della pallacanestro.
Questi due, hanno segnato un’epoca, hanno scandito un chiaro stacco nel basket d’oltre oceano e non solo, tra ciò che c’è stato prima di loro e quello che è iniziato con loro, una nuova era, un nuovo modo di vedere questo sport, l’Nba che abbiamo sotto gli occhi oggi è probabilmente anche figlia loro.
Ad ora il tassametro segna 38 primavere per entrambi, nati a poco più di 20 giorni di distanza, Kevin Garnett e Tim Duncan non hanno nessuna intenzione di fermarsi, sono diversi anni che sentiamo parlare di un loro imminente addio, ma le scarpe sembrano ancora ben allacciate ai piedi e distanti dal fantomatico chiodo.
Due icone degli ultimi 20 anni di Nba, due giocatori che in modo differente hanno rivoluzionato il ruolo della “Power Forward”, volgarmente detta Ala-grande, due vincenti, la cui rivalità ha acceso i sogni di milioni di pazzi fans come noi.
Nel 1995, Kevin Garnett dopo aver scherzato con i malcapitati licei dell’Illinois di turno, approda direttamente tra i professionisti, troppo straripante per non attirare su di sè gli occhi di qualsiasi scout del panorama Nba, il primo dopo vent’anni a non passare nemmeno dal college (dal 2007 è diventato obbligatorio passare almeno un anno al college, prima dei 19 anni non si è eleggibili).
I Minnesota Timberwolves, una franchigia per certi versi disastrata, si affida a lui per risorgere, proponendogli dopo soli due anni di carriera un contratto senza precedenti, 126 milioni di dollari sull’unghia per 6 stagioni (con l’ultimo contratto da poco firmato con i Brooklyn Nets è diventato il giocatore più pagato della storia Nba).
Tim Duncan invece, trascorre 4 anni al college a Wake Forest, dove porta a termine il ciclo di studi ottenendo una laurea in Psicologia, promessa mantenuta fatta alla madre, scomparsa negli anni della sua adolescenza.
Tutto questo ci dà già la cifra del personaggio con cui abbiamo a che fare, infatti in Nba ci andrà comunque, i San Antonio Spurs, giocarono letteralmente a perdere l’annata precedente, per poterlo chiamare con la prima scelta assoluta nel draft del 1997.
Rookie dell’anno e tempo due stagioni otterrà già il primo Anello Nba assieme all’ammiraglio, David Robinson, inaugurando una carriera piena di vittorie alla corte di coach Gregg Popovich, vittorie che come sappiamo, non danno l’impressione di voler terminare.

Aggressivo, rabbioso ed impulsivo il primo, calmo, riflessivo e pacato il secondo, due modi di approcciare alla vita e allo sport totalmente differenti ma ugualmente efficaci.
Garnett, solo guardandolo in televisione, ci si accorge di come non sia per nulla a posto, una scheggia impazzita, un provocatore, logorroico allo sfinimento, ti entra sotto pelle, ti annienta, non a caso Miglior Difensore della lega nel 2008, e presente ininterrottamente dal 2000 al 2012, tra primo e secondo quintetto difensivo Nba (9 volte nel primo).
Detto questo, giusto per evitare che pensiate di aver a che fare semplicemente con un arcigno stopper, “The Big Ticket” è stato nel primo decennio di attività, più volte miglior realizzatore assoluto con quasi 30 confetti a partita ed una versatilità fuori dal comune, ah e per non farci mancare nulla, è entrato da quasi due anni nel club dei 25mila punti, un campione totale insomma.
Duncan invece è il ritratto della convinzione nei propri mezzi, della calma e della tranquillità ed ha proprio quello sguardo spiazzante di chi sa già come andrà a finire e chissà come mai è uno sguardo che raramente appare preoccupato.
E di cosa dovrebbe preoccuparsi questo ragazzone delle isole vergini? Avrebbe voluto seguire le orme della sorella e diventare un nuotatore di livello mondiale, sfortuna ha voluto che l’unica piscina olimpionica della piccola isoletta che l’ha visto nascere e crescere (Saint Croix) sia andata distrutta da un uragano, quando si dice le “sliding doors” della vita.. Quel tragico evento ci ha regalato uno dei migliori giocatori della storia, miglior cestista della decade 2000-2010 per Sports Illustrated, ci perdoneranno gli amici nuotatori ma sarebbe stato un peccato vederlo sguazzare in qualche piscina piena di cloro, un vero peccato.

KG,trascina i suoi T-Wolves sulla vetta della Western Conference, realizzando per 9 stagioni consecutive almeno 20 punti, 10 rimbalzi e 4 assist, un fenomeno assoluto, Mvp nel 2004 e se non fosse per quell’infortunio occorso a Sam Cassell forse quell’anno in finale contro i Detroit Pistons ci sarebbero andati proprio loro.
Ma visto che con i “se” e con i “ma” non si fa la storia, nel 2007 il matrimonio finisce, una trade lo porta ai Boston Celtics dove finalmente assieme a Ray Allen e Paul Pierce, riesce a raggiungere il tanto agognato Titolo Nba, contro gli stessi Lakers che per diversi anni l’avevano costretto alle briciole.
Nel frattempo la carriera di Duncan è un trionfo senza soluzione di continuità, sposa a pieno la filosofia di Popovich e degli Spurs e ne diventa l’alfiere.
Con l’arrivo di Parker e Ginobili apre una dinastia che ad oggi non può ancora dirsi conclusa, uno schiaffo alla carta d’identità e quinto anello personale messo al dito proprio pochi giorni fa nella Opening Night della sua 18esima stagione tra i pro’.
Due campioni assoluti, troppo diversi per amarli entrambi allo stesso modo, se sostieni la grinta, la passione, la cattiveria di uno non potrai sostenere la compostezza, la pulizia, la leadership dell’altro.
Il dilemma è di quelli che non si possono risolvere, o che per lo meno, non hanno una soluzione univoca.
Ci rifiutiamo, mi rifiuto di accettare un qualcosa di oggettivo in questa “disputa”, ovviamente il carisma e i 5 titoli vinti da Duncan, lo pongono nell’immaginario collettivo come la migliore Ala-Forte della storia della pallacanestro e questo nessuno lo potrà mai cambiare.
Probabilmente la predisposizione alla vittoria, ad occupare come nessuno mai negli sport americani il gradino più alto del podio , l’idea di un campione in grado di fermare il tempo, la sensazione di infinito che trasmette Duncan è unica ed irripetibile.
Detto questo mi sento di dire che le abilità tecniche offensive ed attitudine difensiva strabiliante, unite ad un così alto livello di gioco, non le ricordo in un giocatore di quella stazza, forse su singola giocata Garnett ha più frecce al proprio arco rispetto a Duncan ma questo vuol dire che uno è meglio dell’altro o viceversa? Non direi.
Non so chi di voi creda nella sorte, di certo trovarsi all’apice della carriera in un contesto perfetto, con un allenatore perfetto, con dei compagni perfetti che ti permettano di fare del successo una routine è un conto, ritrovarsi invece negli anni migliori a predicare nel deserto, affiancato da personaggi poco raccomandabili come Cassell e Latrell Sprewell, è un altro.
Sicuramente non è merito del primo, nè demerito del secondo quanto è stato, è andata così, il fato, la sorte, il caso ha voluto così e la storia è stata scritta di conseguenza.
Questo per dire in definitiva che trovo troppo semplicistico portare in palmo di mano un giocatore piuttosto che un altro, solamente in base al numero di anelli vinti o ai premi individuali da lucidare sulla mensola, altre componenti son decisamente più importanti e chi conosce un minimo questo mondo lo sa bene.
Kevin e Tim, Tim e Kevin, due che han davvero trovato il modo di fermare quelle maledette lancette e per questo gliene siamo grati.
Due che, voci di corridoio dicono si siano amati il giusto, non si sono mai sopportati troppo e non poteva essere altrimenti.
Come ha detto l’avvocato Federico Buffa: “KG li odia tutti, è il suo mestiere, Duncan ne odia uno, lui”.
Che apparteniate ad uno “schieramento” piuttosto che all’altro, qui, in questa sede, importa poco, siamo qui per elevarli entrambi su un bel piedistallo, perchè anche se sembrano immortali, e mi è venuto veramente il dubbio che lo siano, ci troviamo purtroppo agli sgoccioli di due carriere meravigliose, due sicuri Hall of Famer che ci hanno deliziato ed entusiasmato oltre ogni logica aspettativa ed era doveroso tributargli il giusto, anche se breve, ringraziamento.
Passo e chiudo.