Derrick Rose. “If you did it once, you can do it again”.

Derrick Rose. “If you did it once, you can do it again”.

“The best that ever was, the best that ever will be”.    
               


Questa incisione è posta alla base della statua dedicata a Michael Jordan all’esterno dello United Center di Chicago, casa dei Chicago Bulls dal 1994, che ospitò il secondo “three-peat” dell’Era “Jordan-Pippen”.

I Bulls nell’immaginario collettivo iniziano e finiscono con la carriera di Jordan, l’ultimo decennio del 23 ha portato in dote il 74.7% di vittorie, mentre il decennio successivo al suo addio è valso un modestissimo 36,7 % di risultati positivi, i numeri parlano da sè.
Misurarsi con un passato così ingombrante a quanto pare non è stato il  primo pensiero di nessun giocatore NBA negli anni successivi al 1998 ed i risultati son lì a testimoniarcelo, questo fino al 2008, anno in cui grazie alla prima chiamata assoluta al draft, una piazza così importante ha avuto l’occasione di redimersi dopo anni di oblio.
Derrick Rose non ha scelto di misurarsi con ciò che è stato, non ha scelto di riportare in alto i Bulls, non ha scelto di trasferirsi a Chicago, non ha scelto di essere di Chicago, semplicemente perchè, Noah docet: “Lui è Chicago”.
Per la precisione, Englewood, robetta da 50/60 omicidi  e 3000/4000 crimini violenti ogni anno.
Derrick è il più piccolo di 4 fratelli e cresce fin da subito con la palla da basket tra le mani, seguendo le imprese proprio di MJ.
Quartiere tra i più pericolosi di Chicago, con la soglia di povertà al 44%, non esattamente il luogo più adatto per crescere dei ragazzi, le strade che puoi percorrere non sono molteplici, la delinquenza è una di quelle più battute.
La faccia da Gangster mezzo asiatico, mezzo afro-americano ce l’ha, ma per fortuna ha doti straordinarie per la pallacanestro, per fortuna pare che per il momento il futuro da criminale sia rimandato.
All’high school si segnala subito tra numeri e prodezze fantascientifiche ed accetta una borsa di studio a Memphis University dove resterà un solo anno, allenato nientepopodimenoche  da John Calipari, arrivando ad un tiro dalla vittoria del titolo NCAA (maledetto Almario Chalmers) pronto poi per il grande salto.
Come detto, sarà Chicago, una città da risollevare sulle proprie spalle, la sua città da risollevare, sceglie simbolicamente la maglia numero 1, abbandonando il 23 indossato al college, in onore di chi non sto nemmeno a dirvelo.
Bastano i primi 5 minuti della prima partita per capire che questo è già pronto, sembra nato pronto, una dinamo senza precedenti, una spinta nelle gambe che non trova eguali nella mia seppur breve memoria, si mangia il parquet, salta in testa ad avversari 30 cm più alti di lui, disumano.

Al primo anno è già “Rookie of the Year”, eguagliando il record di punti segnati all’esordio nei Playoffs di Kareem Abdul-Jaabar (36), nonostante i suoi Bulls non riescano a sorpassare l’ostacolo Celtics.
Nella sua stagione da sophomore, sebbene soffra per un fastidio alla caviglia che lo limita nei primi mesi di regular season, sale di livello stringendo i denti e conquistando definitivamente i suoi tifosi ed i Playoffs dove si fermerà solamente contro i Cavs dell’MVP Lebron James.
L’anno successivo è quello della definitiva consacrazione, o forse qualcosa in più.
La stagione 2010-11, al terzo anno nella lega, è una favola da raccontare ai nipotini per farli addormentare sereni e contenti.
Primo Bulls dai tempi di Jordan in quintetto all’ASG, 24.8 punti, 8 assist e 4,6 rimbalzi a partita, miglior record della Nba (62-20) per i “tori” e titolo strameritato di Most Valuable Player a soli 22 anni, neanche a dirlo, il più giovane di sempre ad ottenere tale riconoscimento.
Derrick è pronto per competere con i migliori, anzi è il migliore di tutti, ed anche la squadra sembra esserlo, ma le complicazioni sono dietro l’angolo, una brusca frenata li attende, dopo una convincente vittoria in gara-1 della finale della Eastern Conference, Chicago cede il passo ai Miami Heat del fresco trio James-Bosh-Wade che poi cadranno a loro volta nelle Finals vittime di un tedescone col 41 sulle spalle, vi dice nulla?
Quella successiva è la stagione del “Lock-out”, proprietari e giocatori litigano per un accordo che non si trova, vi lascio immaginare cosa può pensarne un ragazzo cresciuto ad Englewood circa la “serrata”: “Non credo sia necessario. Non vedo una ragione perché dei miliardari e dei milionari debbano litigare sui soldi. Ci sono molti altri temi, nel mondo, su cui litigare e dividersi, ma i soldi non dovrebbero essere un problema”.
Derrick è un tipo molto silenzioso, molto introverso, non serve uno psicanalista per capirlo, lo si può notare tranquillamente seduti su un comodo divano al di qua dell’oceano attraverso un televisore.
Detto ciò, non è ugualmente necessaria una analisi molto lunga per vedere quanto sia trascinante per i compagni il suo esempio, un ragazzo combattivo, tosto, duro, uno che non si tira di certo indietro, uno che in soli 3 anni ha lanciato la sfida ai migliori giocatori del pianeta ed è stato in grado di sedersi sulle loro teste, un vero MVP.
Alla luce di questo la Post-Season 2012 presenta grandi aspettative per i Bulls decisi a contendere il Titolo fino alla fine di Giugno.
A 2 minuti dal termine di gara-1 contro i 76ers al primo turno, con Chicago comodamente avanti, ecco però che il destino trova un modo devastante per palesarsi, quando nessuno l’aveva interpellato.
Rose si infortuna al legamento crociato anteriore sinistro, lo shock è tremendo, senza il loro condottiero i Bulls perdono la testa e la serie contro i modesti Sixers.
Sono certo che tutti voi come me avrete pensato: “Ma perchè cavolo Rose era ancora in campo?”, “Era così necessario per Thibodeau tenerlo sul parquet a giochi fatti?”. Tutto comprensibile, la rabbia, la frustrazione dei tifosi, sono comprensibilissime, ma mettere in croce un allenatore per un qualcosa di imponderabile lo trovo, usando un eufemismo, sciocco.
Da quel giorno però, ha inizio un vero e proprio calvario.
Un calvario che coinvolge oltre al diretto interessato, una città intera che in lui aveva riposto le proprie giustificate speranze di rinascita, una città continuamente fomentata anche tramite spot pubblicitari che cavalcano alla nausea questo episodio per fini di lucro, strumentalizzando un presunto imminente rientro di Rose per vendere due paia di scarpe in più.
In questo triste infortunio, di imminente ed immediato, non c’è proprio nulla.
Oltre al normale tempo di recupero fisico da un incidente, va aggiunto il tempo necessario per recuperare psicologicamente il giocatore e questo è chiaro fin da subito che non sarà un processo rapido, infatti D-Rose salta completamente la stagione 2012-13 (quella che vede il nostro Marco Belinelli in maglia Bulls per intenderci) dopo una serie frustrante di rimandi accompagnati dalla triste immagine del ragazzo, seduto in borghese, in fondo alla panchina.

Nella stagione passata (2013-14), Derrick sembra pronto a tornare alla guida dei Bulls, gioca 10 partite piuttosto sottotono per poi incappare nuovamente in un infortunio, questa volta al menisco del ginocchio destro.
E’ il 22 novembre 2013 e Rose salterà l’intero proseguimento del campionato.
Questa sosta di oltre 2 anni è una punizione troppo severa, un colpo da cui è veramente difficile rialzarsi, possiamo raccontarci quanto vogliamo la favola del prode guerriero che una volta caduto trova la forza di rialzarsi più forte di prima. Ma la realtà, spesso, è altra cosa.
Qui si parla di un ragazzo che a 22 anni è il migliore in una Lega di superuomini ed in uno schiocco di dita si ritrova 26enne, ed in mezzo?
In mezzo il buio totale.
La carriera di Rose fino ad oggi è frustrante anche solo a ripercorrerla con la mente, un percorso drammaticamente ingiusto ed incoerente che tarpa le ali ad un ragazzo che già faceva i conti con tremende difficoltà quando ancora era nel ventre della madre.
I punti di domanda e i dubbi attorno alla figura di questo atleta non possono mancare, il suo futuro è un punto interrogativo gigantesco ed è proprio lui certamente il primo a saperlo.
Nella stagione appena iniziata Rose sta regolarmente scendendo in campo con i suoi compagni, lasciando a sprazzi intravedere ciò che è in grado di fare, si percepisce però chiaramente la paura ed il timore che i problemi non siano finiti e non potrebbe essere altrimenti.
Ogni volta che è coinvolto in uno scontro, ogni volta che cade malamente a terra, l’intera panchina schizza in piedi, l’intero United Center trattiene il respiro, l’intera città lo fa.
Sarebbe ingeneroso a questo punto pensare a tutti i “se” e i “ma” del caso, sarebbe profondamente sbagliato pensare a quale tipo di giocatore sarebbe oggi senza quella trafila di disavventure che l’hanno relegato più spesso in infermeria che in campo.
L’unica convinzione è che fin dal suo primo giorno in NBA si ha avuto la percezione chiara che fosse un ragazzo in missione, come lo fu il primo Lebron di Cleveland, un ragazzo determinato a vincere per la sua città natale, determinato a trascinare tutta Chicago in alto, disposto a fare un passo indietro per lasciare spazio al successo del collettivo, cosa che non tutte le superstar si son dimostrate pronte a fare, soprattutto da così giovani.
Dalla venuta del 23, la maglia con scritto “Bulls” sul petto ha un peso specifico decisamente alto, se poi a 22 anni sei un vero MVP, sei nato e cresciuto nella “Windy City”, sicuramente ti servono delle spalle belle larghe per sopportare tutto questo.
Solo il tempo potrà dare delle risposte e la storia del ragazzo di città che riporta l’anello a casa rischia di schiacciarti sotto il suo peso (citofonare Lebron James per delucidazioni), ma può anche darti una spinta in più, quella spinta che la città di Chicago ha dimostrato di sapere dare in passato, quella spinta che può permettere a Derrick Rose di tornare lassù, dove eravamo piacevolmente soliti vederlo.
Se anche trovo insopportabili “buonismi” e demagogie, son convinto che chiunque ami la pallacanestro faccia il tifo per lui, ne sono certo. A noi, dal nostro comodo divano, non resta che augurarti in bocca al lupo Ragazzo di Englewood, “If you did it once, you can do it again”.
Passo e chiudo

Basket-Rose-thereturn



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