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Fuorigioco: Il Southampton di Ronald Koeman

Fuorigioco: Il Southampton di Ronald Koeman

Ci sono squadre, alle volte, che tendono a essere più simpatiche di altre al calciofilo medio.
Ci sono squadre, alle volte, che tifiamo inconsciamente lungo tutto l’arco della stagione.
Ci sono squadre, alle volte, che, semplicemente, ci fanno emozionare, per infinite ragioni.
Il dio del pallone ce lo suggerisce: questa squadra quest’anno arriverà oltre il pensabile, è capace di varcare la soglia del consentito, di oltrepassare quel limite oggettivo congenito alla squadra stessa.
Tutti ci caschiamo, ingenuamente. Tutti, ad Agosto, lo facciamo, anche se poi non lo dichiariamo. Tutti, a tavolino, ai nastri di partenza, stiliamo una classifica per noi oggettiva di ogni campionato, sicuri che a Maggio sarà esattamente quella graduatoria a comparire davanti ai nostri occhi. Non può non andare così, ne siamo convinti. Eppure, il calcio, fortunatamente, non è scienza esatta e regala squadre magiche, a rotazione, che ci entusiasmano partita dopo partita.
Questa categoria ospita ora il Southampton di Ronald Koeman.
Ovviamente, dopo una partenza lampo dei ragazzi biancorossi testa a testa con i Blues di Mourinho, i valori si stanno già allineando: in una competizione infinitamente lunga come un campionato i potenziali nettamente superiori vengono inevitabilmente fuori, è così che ormai la lotta per il titolo pare già affare a due tra Chelsea e Manchester sponda City. Lo United del mago Van Gaal farà da scudo alla corsa delle prime della classe e da spartiacque ben identificabile tra esse e la lotta a quel maledetto quarto posto che vale il sogno Champions per alcune, obbligo per altre. E’ esattamente lì che i nostri amati Saints possono finire.

“Buona squadra il Southampton”, pensiamo scorrendo la classifica delle ultime Premier League “Però quest’estate sarà smantellata, sicuro”. E così è stato. Le perplessità estive hanno inevitabilmente accompagnato la demolizione di una squadra solida e in crescita che ha optato per la cassa tramite la cessione di cinque titolari protagonisti della buona stagione 2013/14: Lallana, Lovren, Lambert, Chambers e Shaw. E mettici anche l’addio di Pochettino, tecnico apprezzato e di buon livello, direzione Londra sponda Tottenham.
“Once upon a time The Saints”, “Supermarket Southampton”, questi i titoli dei giornali inglesi all’alba di Agosto. I Saints, rivelazione dell’ultima Premier, si smembrano e vendono due terzi dell’undici titolare. Esatto: vendono, non svendono. Ci casca, naturalmente, l’altra grande rivelazione uscente: il Liverpool di Rodgers, fresco di cucuzze nella valigia recapitata in sede da Barcellona per Suarez. Dai Reds arrivano milioni 31 (Lallana); 5,5 (Lambert) e 25,5 (Lovren), che sommati ai 20 dall’Arsenal per Chambers ed ai 37,5 dal Manchester United per Shaw fanno centoventi milioni di incasso. Capolavoro di mercato incassare questa cifra in una sola sessione, capolavoro societario credere nel proprio vivaio, capolavoro in panchina costruire in un solo mese una squadra che possa essere all’altezza di quella della stagione appena conclusa. E questo capolavoro viene affidato a Ronald Koeman, tecnico olandese dalla carriera quantomai controversa.

Arriva Koeman dal Feyenoord, in allegato, con lui, arriverà anche il suo pupillo Graziano Pellè che in Italia non abbiamo mai considerato mentre in Olanda segnava con una continuità disarmante. Dal biancorosso al biancorosso, RK ha già vinto la prima sfida in terra inglese: creare un gruppo coeso, umile ma ambizioso, un gruppo che sa cosa può fare e cosa non può fare, una squadra che ragiona all’unisono, senza fenomeni ma con tanta, tantissima passione. Quella maledetta passione che poi, alla fine, è ciò che tiene a galla una squadra, una società, una città intera, che di passione non ne aveva più, quest’estate. La gente era depressa dopo la campagna estiva di cessioni illustri. La stessa gente cantava, dopo quattro vittorie iniziali e consecutive in Premier: “We’re gonna win the league”.

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Per un allenatore come Koeman è stato l’attestato di stima più significativo che si potesse immaginare. È stato l’olandese a sostituire i partenti, costruendo una squadra egualmente competitiva. Dal campionato olandese ha portato il miglior assistman e il secondo cannoniere del torneo: Dusan Tadic dal Twente (16 reti e 14 assist nella stagione precedente) e, dicevamo, Graziano Pellè, che aveva avuto con sé nel Feyenoord (50 gol in 57 partite in Olanda). In attacco arriva anche Shane Long dall’Hull City, tra i pali Fraser Forster dal Celtic. La ciliegina, acquisto più pagato, è Sadio Manè, arrivato dal Salisburgo per 15 milioni di euro e considerato nuova stelle emergente del calcio senegalese. E poi i prestiti a completare la rosa: Bertrand e Alderweireld. 73 milioni di euro spesi, tanti, ma quasi 50 netti di utile nelle casse della società.
Gran parte del piccolo capolavoro biancorosso va riconosciuta ad un condottiero sottovalutato, forse perchè poco appariscente, poco giornalistico. Quel ciuffo biondo sempre in ordine, quel completo nero con camicia bianca a collo stretto, quello sguardo glaciale di chi ha l’ambizione necessaria per fare il mestiere dell’allenatore, anche se a vederlo così sembra più uno di quei consulenti chiamati a salvare le multinazionali in crisi. Allenatore controverso Ronald, ai successi in patria (tre campionati con Ajax e Psv, due Supercoppe con Ajax e Az, una Coppa d’Olanda ancora con i lancieri), non è corrisposta uguale fortuna nelle due precedenti esperienze all’estero. Ha vinto una Supercoppa portoghese con il Benfica nel 2005 e una Coppa del Re con il Valencia nel 2008, ma entrambe le esperienze sono durate appena un anno e non sono state, per così dire, positive, anzi. Eppure ha saputo rialzarsi, soprattutto dopo la più prestigiosa e, al contempo, devastante avventura della sua carriera, in terra spagnola. Decimo in Liga, vincitore della Coppa del Re ma esonerato dopo cinque giorni dalla finale, fuori al primo turno nel girone di Champions. Va detto che l’olandese subentrò a Novembre a Quique Sanchez Flores, ereditando una squadra sfilacciata, al tramonto di un ciclo vincente. Quella Coppa del Re non fu neanche festeggiata, era nell’aria l’esonero di Koeman, la lotta per non retrocedere incombeva su una città abituata a ben altri lidi. Mise fuori rosa i senatori, perchè gli remavano contro, mossa coraggiosa ma controproducente. L’anno successivo restò in carica all’Az per soli cinque mesi, sconfitta dopo sconfitta. Fu il momento più difficile della sua carriera da allenatore.
Quando il declino sembrava irreversibile arrivò la chiamata del Feyenoord, reduce da uno scialbo decimo posto. In tre anni Koeman conquista tre secondi posti ed entra nel cuore dei tifosi biancorossi. Quest’estate, in procinto di passare ai Saints, la gente di Rotterdam, non propriamente calorosa, gli riserva un addio da giubilo, mentre il condottiero saluta con un semplice giro di campo.

Koeman è questo, un uomo che ha saputo rialzarsi imparando dagli errori del passato e che, contemporaneamente, ha risvegliato l’orgoglio della gente, la voglia di stare vicino alla squadra e di sognare, al Feyenoord prima, al Southampton ora. E lo ha fatto come lui sa fare, con la tenacia, quella voglia di tenere duro fino alla fine. Un’ostinazione a volte controproducente, come a Valencia, ma che gli ha permesso di essere sempre vero, semplice e coerente.

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Ha ereditato mezza squadra da Coach Pochettino, ne ha plasmata l’altra metà quest’estate. Ha costruito un 4-3-3 in evoluzione verso un 4-2-3-1 compatto, classico, rapido.
Il centrocampo dei Saints, l’unico reparto che si è salvato dalla diaspora estiva, è di ottimo livello, uno dei più sottovalutati della Premier. Rispetto a Pochettino, Koeman ha costruito un reparto che pressa meno alto e attende di più l’avversario in fase difensiva. Tutti i centrocampisti sono in grado di tenere palla e hanno una grande precisione di passaggio, tra l’89% di Ward-Prowse e l’87% di Schneiderlin. Davis, Cork e Wanyama completano un reparto solido e assortito.
La difesa lavora su blocchi compatti a zona ed è quasi perfetta nella copertura dello spazio. L’impostazione è tipica di quel dannato mago Van Gaal, da cui Koeman ha saputo apprendere da assistente. I quattro difensori sono allenati per coprire le linee di passaggio, lavorano sempre in elastico difensivo stretto, ideale per le difese impostate in squadre con baricentro volutamente basso. La pressione è difensiva e binata, nessuno pressa in solitaria, i giocatori nella zona del pallone pressano a coppie solo quando intravedono una giocata forzata dell’avversario. A palla recuperata la fase offensiva è affidata alle verticalizzazioni di Schneiderlin, vero e proprio regista della squadra, e alle fiammate veloci di Long e Tadic (Jay Rodriguez e Manè i ricambi), perfetti per il gioco di rimessa dopo la riconquista del pallone in pressing organizzato difensivo e per accompagnare il centravanti ideale per Koeman e per il calcio anglosassone, Graziano Pellè.

Le cose, nel calcio, cambiano nel giro di qualche partita e chissà per quanto questa squadra potrà reggere il duello con società ben più attrezzate. Ora, al netto di cinque sconfitte (di cui quattro fresche consecutive), il Southampton si è rialzato, ed è lì a giocarsi il quarto posto, quella Champions dei grandi che, chissà, potrebbe essere pronta a premiare quella che è già una bella favola.



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