I Can’t Breathe. Cronaca di un Paese soffocante.
Prima pagina venti notizie, ventuno ingiustizie e lo Stato che fa?
Si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità.
Poesia del nostro compianto Faber (Fabrizio de Andrè), tratta dal testo di “Don Raffaè”, capolavoro datato 1990. Era una canzone di denuncia, una canzone figlia del suo tempo, una canzone che racconta la triste realtà, quanto mai attuale, di uno Stato succube di organizzazioni malavitose che ne giostrano le istituzioni a proprio piacimento.
Proprio in questi giorni si sta aprendo un filone di indagine denominato “Mafia Capitale”, inchiesta appena nata che si sta già allargando a macchia d’olio anche nel mondo dello Sport.
Cara vecchia Italia non sembri maturata nemmeno un pò da come ti descrisse de Andrè quasi 25 anni fà, sei grigia, sporca e cammini all’indietro.
Senza apparire dei frettolosi sempliciotti è facile notare come anche lo Sport sia da sempre specchio della rispettiva società e dello stato di cose in cui versa il proprio Paese.
Una Germania ultra Campione del Mondo in Brasile non è frutto di un caso, è frutto di progettazione e lungimiranza.
Una Italia eliminata nel girone di qualificazione dalla Costa Rica non è colpa di Balotelli “donnaiolo” che sboccia in ogni locale esistente, è frutto di una mentalità retrograda e reazionaria che non può che portare a tale risultato.
Gli Stati Uniti non sono in cima al mondo perchè hanno più di 300 milioni di abitanti, non sono al timone del mercato economico perchè son più fortunati degli altri, non è per questo che gran parte delle eccellenze sportive vengono da lì, non è per questo che stiamo svegli la notte per ammirare quello che lo sport a stelle e strisce può offrirci e che noi possiamo solo sognare.
Anche gli Stati Uniti devono affrontare problematiche sociali, è un puzzle di etnie senza eguali al mondo e gli ostacoli che per noi sembrano insormontabili, loro li affrontano elevati all’ennesima potenza e li superano.”United We Stand”.
Sono megalomani, esagerati, ma la loro indignazione di fronte alle lacune della loro società è pratica e attiva, non teorica e passiva come la nostra.

I Can’t Breathe. Questo messaggio campeggiava a chiare lettere la scorsa notte sulla T-shirt di Derrick Rose, Lebron James, Kevin Garnett e Kyrie Iriving e Kobe Bryant (solo per citarne alcuni) durante il warm-up prima delle rispettive partite.
I Can’t Breathe. Sono le ultime parole pronunciate da Eric Garner, 43enne afroamericano soffocato lo scorso 17 Luglio da un agente di polizia bianco durante un fermo, Daniel Pantaleo, assolto dalla gran giurì.
Lo stesso Barack Obama si è espresso sull’argomento: “In questo Paese fino a quando non tutti saranno trattati in maniera uguale davanti alla legge sarà un problema. E il mio compito come presidente è di risolvere questo problema”.
Grandi! Rispetto! Queste son state le prime due cose che ho pensato quando ho letto questa notizia.
Volete sapere quali sono state la quarta, la quinta, la sesta e la settima?
Figurati se qualche sventra-veline, calciatore (l’ordine non è casuale) qui in Italia si prenderebbe la briga di protestare o di manifestare la sua indignazione così apertamente, incurante di sanzioni economiche eventuali e simili.
Figurati se qualche faccendiere, politico (l’ordine continua a non essere casuale) qui in Italia si prenderebbe il rischio di diventare bersaglio di possibili critiche, esprimendo apertamente la propria opinione per quanto scomoda. Lo farebbe mai il Presidente del Consiglio? Nah.
La National Basketball Association non è una simpatica combriccola di appassionati di basket della Domenica.
La NBA è una macchina di soldi, è una azienda che fattura non so quanti miliardi, che calamita non so dire quante decine/centinaia di milioni di appassionati in tutto il mondo.
La NBA permette a James, sua icona più grande, di presentarsi in un’arena con decine di migliaia di persone tra cui per l’occasione il principe William e consorte, Duca e Duchessa di Cambridge, con una maglia di aperta denuncia verso la giustizia americana senza sanzionarlo?
Non so se è il timore di creare clamore attorno alla questione, non so se prima o poi qualche multa arriverà, so però che questo è solo un episodio tra tanti che potrei raccontarvi di come problematiche politiche e sociali vengono portate in campo con coraggio e determinazione senza secondi fini, senza timore di critiche o altro ma per una logica coerenza intellettuale.
Non voglio che tutto ciò sembri una esaltazione smodata dell’American Dream ed una bastonata sulla testa al nostro Bel Paese che già ne subisce quotidianamente a valanga.
Non sto dicendo che lo Sport in America sia un circolo di illuminati filantropi ne tantomeno che lo Sport in Italia sia di contro un’accozzaglia di illetterati senza capo ne coda.
Anche di là dall’Oceano hanno il loro bel da fare. In ogni spogliatoio NBA, NFL, MLB O NHL ci sarà uno stuolo di professionisti più simili a gangster che giocano letteralmente a “chi ce l’ha più lungo”, perdonate il francesismo, ricordate ad esempio scene da Far West nello spogliatoio degli Washington Wizards con il nostro agent-zero Gilbert Arenas sugli scudi?
Non è mai il caso di fare di tutta l’erba un fascio, l’erba del loro giardinetto non è necessariamente sempre più verde (ok, ora la smetto con i proverbi), la sola differenza è che loro si espongono perchè, nei limiti, gli è concesso esporsi ed esprimersi.
Qui in Italia diamo multe a squadre che manifestano civilmente per i continui mancati pagamenti.
Qui in Italia mettiamo in mano la rinascita del nostro sport di spicco ad un nonnetto che mangia razzismo ed ignoranza a colazione (citofonare Tavecchio).
Siamo il Paese dell’assoluzione sempre e comunque.
Non chiedo di spingerci fino alla gogna o alla pena di morte, ancora attuale in alcuni stati americani.
Chiedo di prendere esempio da un paese in cui un’ intera squadra si rifiuta di scendere in campo ed un allenatore di allenare se il proprio presidente, intercettato e beccato a pronunciare insulti razzisti, non fa le valigie e se ne va.
Già perchè l’ex presidente dei Los Angels Clippers, Donald Sterling, ha gentilmente chiesto in una telefonata alla moglie di non farsi fotografare con dei neri e di non portarli alla partite.
Quel nero era “Magic” Johnson, la squadra di Sterling, come l’intera Nba, è piena di afroamericani ed il caro vecchio Donald è stato cacciato, per usare un eufemismo, a calci nel culo dalla Lega.
Noi accogliamo l’intolleranza ed il razzismo ai piani alti, loro li mettono alla porta. Questa è la differenza sostanziale.
Poi è ovvio e scontato che loro hanno un bacino d’utenza clamoroso ed unico al mondo, è chiaro ed evidente che il loro sistema scolastico promuove ed incoraggia lo sport ad altissimo livello tra High School e College (prendere esempio), effettuando anche una decisa e necessaria selezione che li porta all’eccellenza.
Tutto vero, ma questa non può e non deve essere una attenuante, la cruda realtà ci dice che i valori dominanti che abbracciano le loro discipline sportive sono positivi, quelli che alimentano le nostre sono senza mezzi termini negativi. Punto.
Mi fermo qui perchè temo di sfociare in demagogia e banalità.
I Can’t Breathe. Non riesco a respirare. Questa frase tremenda appare, con le dovute proporzioni, come una metafora della nostra condizione qui in Italia, nessuna aspirazione, nessun desiderio, nessun sogno e lo specchio di tutto ciò sono anche i nostri risultati sportivi, le nostre eccellenze in questo ambito. Niente di niente. Zero assoluto
Se vi aspettavate qualche frase incoraggiante e speranzosa alla fine di queste righe mi spiace deludervi, proprio non ci riesco.
Passo e chiudo