IL PESO DELLA VALIGIA…

IL PESO DELLA VALIGIA…

Ligabue nemmeno sa quanti brividi abbia fatto venire chi fa lo sportivo di professione con questa canzone, non si rende conto di quante lacrime siano scese ad atleti che, cantando le sue parole, erano in viaggio con la solita macchina carica per quel “trasloco” sempre troppo familiare.. NO LUI NON LO SA…


Dopo un paio di articoli leggeri e divertenti ho deciso essere seria e la sentimentalista, quindi se volete farvi due risate chiudete subito l’articolo e cestinatelo, mi piace sempre raccontare le cose “vissute” che siano divertenti o meno, quelle che di solito non si leggono perché non fanno notizia.
Ogni volta che si fa riferimento alla vita dello sportivo automaticamente il pensiero diventa “bella vita” ricollegandoci agli stereotipi fatti passare da “Studio Sport” (anche se non ho capito perché non l’abbiano ancora chiamato “Studio Calcio” visto che si parla solo di quello), io farò riferimento al mondo della pallavolo e a tutte quelle persone che ho incontrato sulla mia strada che ora giocano distribuite in chissà quale parte, non solo dell’Italia, ma del mondo inoltre credo che il discorso sia simile per molte altre discipline.
C’è sempre uno scotto da pagare per le cose belle e quel borsone nel tempo non porta con se solo ginocchiere, scarpe e belle avventure, no! Porta con sé un sogno che costa la lontananza dalla propria famiglia, dagli amici, dal posto in cui si è cresciuti, dalla stabilità e da quella normalità che alternativamente attrae e ripudia chi fa questo lavoro.
Quel borsone pesa: pesa a chi gioca in categorie più basse ma che la mattina lo mette in macchina prima di andare al lavoro, pesa a chi ha dovuto smettere e lo vede impolverato tra gli scaffali del garage e pesa a loro, ai professionisti, che lo portano come fosse leggero ma non sempre lo è …insomma… ha il peso di una vita, di una passione e di un significato di cui non si libererà mai chi l’ha portato in spalla.
E’ vero la vita dello sportivo è affascinante, divertente e a volte surreale, ci si accorge nelle serate in discoteca e dalla pizza post partita, già c’è qualcosa di estremamente affascinante in una squadra che nella vita è difficile/impossibile ritrovare in altri ambiti. Un altro test importante sono le “cene di classe” quando, una volta ogni mille anni, si riesce a partecipare e ci si rende conto che i propri coetanei hanno vite così diverse dalla tua: famiglia, figli, lavoro stabile, università, morosi storici e tu… beh tu tante città alle spalle occhi incontrati, tante case, stipendi non arrivati, festività passate in palestra ma vacanze estive molto lunghe, serate divertenti ed emozioni di ogni tipo nei palazzetti.
NOVE MESI: nove mesi sono il tempo di una cosa meravigliosa chiamata gravidanza, nove mesi formano l’anno scolastico di un bambino ma nove mesi sono anche una stagione pallavolistica in cui c’è TUTTO.
La partenza dopo un’estate con amici e parenti cercando di portar con sè qualcosa che faccia sentire a “casa” anche altrove, verso persone spesso sconosciute con cui si divideranno obiettivi, giornate e quotidianità, ognuno con la sua strada alle spalle ma così simile alla vostra da portarvi nello stesso posto. Persone che in una stagione possono passare inosservate, altre cambiarti la vita o alcune “odiate” ma con la consapevolezza che la squadra sia sacra e che si può non essere amici ma si deve essere compagni.

Volley-Departures
Con questo tipo di lavoro si impara un po’ a “bastarsi da soli” e si creano rapporti particolari con i compagni, spesso si riesce ad essere molto uniti per un anno e passare momenti importanti anche se poi ognuno farà la sua vita portando con se ricordi bellissimi ma senza mantenere vivo il rapporto, una sorta di “famiglia a tempo determinato” che poi si traduce in una bella conoscenza . A volte è difficile restare “incolumi” dall’affetto vero condividendo la quotidianità e vedendo la vita da angolazioni tremendamente simili, in questo modo ci si può conoscere davvero a fondo creando amicizie destinate a durare tutta la vita.
Fortunatamente la bellezza di costruire questi rapporti prevarica sulla malinconia, che ogni tanto si fa sentire, in cui ci si rende conto di dover fare sempre troppi saluti e di non esser parte della quotidianità di persone che ami, in cui sei costretto ad accontentarti di una voce al telefono quando faresti di tutto anche solo per un caffè, perché si sa il caffè in Italia è la scusa più semplice del mondo per sederci con qualcuno e guardarlo negli occhi.
In tutto questo c’è l’obiettivo primario del campionato che si traduce in una stagione sottopressione con momenti belli e meno belli, misurandosi costantemente con se stessi e con gli altri ed è d’obbligo dare il cento per cento senza mai “abbassare la guardia” e sappiamo bene quanto sia difficile.
Non pensate che io stia cercando di rendere “piagnucolosa” una tipologia di vita che rimane dannatamente bella, vorrei solo portare alla luce quelle sfumature che spesso molti vogliono nascondere per apparire più “fighi” e “forti”, vorrei solo parlare di quel “latoB” che si tiene nascosto.
Non si tirano fuori poi così spesso cose come: quelle mura continuamente diverse ma chiamate comunque “casa”, una città sempre nuova che diventa familiare ma mai “propria”, girarsi verso gli spalti e non vedere tra tanti quegli occhi che si vorrebbero, accontentarsi di sms e chiamate al posto che chiacchiere e abbracci, storie a distanza basate su una fiducia che spesso vacilla a causa di un mondo sportivo pieno di “tentazioni”, km macinati solo per un saluto o qualche ora insieme, rapportarsi spesso all’incomprensione di chi non conosce questa vita e sentirsi tremendamente diversi nel bene e nel male.
Ho la convinzione che “casa” non sia un posto ma siano le persone, proprio per questo mi vien da pensare che il peso di quella valigia sia dato dall’assenza di coloro che si vorrebbero portare con sé ovunque ma che rimarranno lontani seppur con legami inscindibili. Credo anche fermamente nel concetto che chi si abitua a spostarsi non stia cercando un motivo per ripartire ma un motivo per restare.
Ogni atleta sa di riservare un pezzo di cuore alle persone con cui ha condiviso un campionato indossando la stessa maglia, con cui ha fatto serate seduto attorno allo stesso tavolo,con cui ha spartito momenti di debolezza dandosi una mano, con cui ha ottenuto conquiste ed emozioni uniche e ad ogni persona che ha saputo insegnar qualcosa anche dall’altra parte della rete. Un atleta sa che rivedere una di queste persone anche dopo anni sarà come non vedersi da qualche giorno.
Ho iniziato con Ligabue e finisco sempre con lui:
“Per sempre solo per sempre cosa sarà mai portarvi dentro tutto il tempo”

 



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