La leggenda d’improvviso sullo schermo in una notte d’estate

La leggenda d’improvviso sullo schermo in una notte d’estate

Amarcord: Rumble in the Jungle fa quarant’anni. Vista, amata, e poi capita.

Ci sono punti di svolta, momenti spartiacque: prima e dopo Cristo, il commercio prima e dopo la scoperta dell’America, il mondo del lavoro prima e dopo lo sviluppo di Internet, le potenza commerciale dell’NBA prima e dopo MJ.

E poi ci sono momenti “zenit”, forse ancora più rari, che non cambiano il mondo ma segnano un punto altissimo, forse irripetibile. Il piccolo passo dell’uomo di Armstrong sulla sabbia lunare, forse può essere un esempio. Come anche nello sport: il volo a 8,90 di Bob Beamon, che semplicemente te lo racconta tuo padre “sembrava non venir più giù” e che nemmeno capisce quanto è andato lontano, forse lo intuisce quando per misurare bisogna allungare la fettuccia perché che un uomo andasse così lontano non era previsto. Il tutto, si dice, con qualche bicchierino di tequila in corpo la sera prima.

Nella Boxe, dove da almeno quindici anni tra mille categorie e sigle c’è un Incontro del Secolo ogni tre mesi, c’è un momento che è sia apice che svolta. Son 40 anni, 30 ottobre 1974.

Lo conoscono tutti: the “Rumble in the Jungle”. Rumble è una parola che rende molto meglio dell’italiano rissa, è una parola che ha un rumore, rotola, graffia, rimbomba. Ed è un rumore, assordante, di persone sudate ed accaldate in un’arena in Zaire che ti ferma il telecomando in una notte d’estate di qualche anno fa, dove il caldo sembra quasi quello che la tv ti fa vedere. La incontri per caso, la leggenda.

La sovraimpressione ti fa ricordare che quel match lo hai sentito, che sai anche chi lo ha combattuto, sai pure chi l’ha vinto. Ma per il resto, poco altro. Ti andrai ad informare il giorno dopo, al risveglio, e troverai cose curiose, conferme alle tue sensazioni, spiegazioni tecniche di cui non sei capace.

Quella sera no, non serve. Ti godi quella mezz’ora epica.

Ed è una sensazione strana accostarsi al Mito in una condizione di beata ignoranza, però in un certo modo è entusiasmante, puro.

Sai che il campione è Foreman. Te lo ricordi pelato e enorme, nel suo rientro ai combattimenti ormai alla mezz’età o nelle televendite di prodotti per la casa di fine anni ’90. Niente di più diverso: capelli, baffetti, ma soprattutto un fisico di pura potenza, impressionante. La grafica lo dice imbattuto in 40 incontri.

Sai che Cassius Clay, anzi, Muhammad Alì è considerato IL pugile, colpi pesanti ma soprattutto rapidità e mobilità. Alla prima inquadratura non c’è niente di questo: grosso, più vecchio di Foreman, meno definito, ma lo sguardo e la voglia di provocare sembrano quelli dell’uomo che sfidò gli Usa rifiutandosi di andare in Vietnam a combattere.

E anche se ancora non sai come i due sono arrivati a quell’incontro, con un Foreman a spezzare via Frazier e Norton in un anno e con Alì in recupero ma vecchio, con 4 anni di sospensione dall’attività proprio per le vedute pacifiste e due annetti di su e giù con una mascella rotta proprio da Norton, senti che Foreman è favorito. Lo sentivano tutti in quella notte d’ottobre del 1974,  bookmaker compresi.

Tutti; tranne Alì.

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Che alla prima campana attacca a testa bassa e tu ti chiedi “perché? Perché accorcia?”. Ma prende Foreman di sorpresa e incomincia a toccarlo, non grandi robe ma al volto due diritti arrivano.

Il sonno che già non c’era svanisce del tutto, resta una curiosità ignorante da soddisfare, perché sai già chi ha vinto ma quando vedi Foreman a fine primo round che si riprende e martella Alì pensi di aver un ricordo sbagliato.

Ma il bello viene subito dopo, e sono 7 round forse non bellissimi, ma nella quale si vede una via.. e vedi il campione, più forte, più veloce, col pugno più duro, entrare lentamente in una trappola. Dell’Alì mobile non c’è nulla, i piedi son fermi, ma un alleato c’è. Le corde del ring diventano dondolo per lui e ingannevole prospettiva per Foreman, che pesta furente come un fabbro al corpo. Ma Alì dondola, si appoggia e i colpi arrivano meno duri, senza che nemmeno lui si copra troppo. Foreman è rabbia, sorda, ma quando carica Alì si appoggia col suo peso e lo ferma, col corpo, non gli crea spazio.

Alì è anche provocazione, il pubblico è per lui da mesi, abilissimo comunicatore. Da qualche parte avevo letto che iniziarono ad urlare in una lingua africana “Alì, ammazzalo!”, ma non ci metterei la mano sul fuoco. E mentre Foreman spara tutte le energie ed appare sempre più stanco, Alì incassa come mai in vita sua, e tocca, non colpi duri, ma, con stupore, più rapidi di round in round.

Strategia perfetta (scoprirai che verrà chiamata “rope-a-dope”), pubblico dalla sua, forza mentale, provocazioni,  la consapevolezza dell’ultima occasione: Alì vola e Foreman finisce la potenza sorda e rimane con la rabbia.. all’ottavo round (e questo, pur assonnato davanti al tv alle 4,30 a.m,  rimane in mente indelebile) gancio sinistro, diretto destro e Foreman giù.. si rialza al limite ma l’arbitro conta il 10.. Alì, sette anni più vecchio di Foreman, è campione, anzi, Alì è di nuovo campione tra la sorpresa e il tripudio. E anche un ignorante, o un neofita che suona meglio, ha capito di aver visto a distanza di anni, un momento epocale, che aveva e avrebbe avuto implicazioni sociali, storiche, politiche.

Le potete andare a cercare tutte, queste implicazioni, e tante altre cose.. Oppure, semplicemente guardarvi 30 minuti di match, farvi trascinare dalla tecnica e dalla forza di un pugilato che non c’è più, e perché no, perdervi nel rumore della Rumble.

Daniele Gamba



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