Mucha Suerte Niño!

Mucha Suerte Niño!

I tre giorni del Condor.
Ogni milanista medio che si rispetti sa di cosa stiamo parlando.
Niente Robert Redford care signorine, ma solo il vecchio Adriano Galliani, lo “Zio Fester” di casa nostra.
Negli ultimi giorni della sessione estiva di calcio mercato se siete campioni leggermente appassiti, se avete bisogno di cambiare aria e se non dovete essere pagati, state tranquilli, lui vi troverà e vi porterà al caro vecchio Milan, leggermente appassito, come voi.
Negli ultimi giorni dello scorso Agosto, il candidato scelto è stato Fernando Torres.
Sono passati poco più di 4 mesi, 1 gol, tanta panchina, tanto fumo, pochissimo arrosto ma in realtà anche pochissimo fumo, una comparsata quasi spettrale, anonima.
Vederlo vagare per il campo contro squadrette di provincia, totalmente avulso dal gioco, totalmente inconcludente, come un bambino impaurito gettato nel mondo dei grandi probabilmente ha fatto un pò di tenerezza a tutti.
Eppure quell’aria da bambino ce l’ha sempre avuta.
I suoi primi tifosi l’hanno ribattezzato “El Niño” proprio per quel suo viso da ragazzino, da chierichetto, di quelli che non sanno nemmeno come è fatto un rasoio, di quelli che confonderebbero la schiuma da barba con la panna montata.

Un bimbo sì, ma un prodigio fin da subito.
Approda a soli 11 anni nella Cantera dell’Atletico Madrid, a soli 18 debutta con la Primera, supera un duro infortunio alla gamba e a 19 anni è già capitano dei Colchoneros, sempre con quel visino innocente da front man di una boy band che fa impazzire grandi e piccine.
Segna gol da antologia, duttilità ed eleganza distribuiti su quasi 190 centimetri.
Si segnala immediatamente come uno dei migliori nel suo ruolo ed oltre ad un mare di donne, anche i più grandi club d’Europa gli fanno la corte.
Arriva sotto la “Kop” nel 2007 e diventa subito la stella più lucente del Liverpool a soli 23 anni.
33 gol (24 in Premier), miglior giocatore della Premier League alla prima stagione in Inghilterra, terzo al pallone d’oro dietro a Messi e Ronaldo (due a caso) grazie anche alla conquista dell’Europeo in Portogallo con la Roja.
Fa letteralmente paura, dominante e decisivo come pochi in Europa.
Arriva anche la vittoria in Sud Africa nella Coppa del Mondo con la nazionale spagnola di cui è “nueve” designato.

Dopo 82 gol in 141 partite, nel Gennaio successivo arrivano i petrol-dollari di Abramovich che lo strappa ai Reds per portarlo a Stamford Bridge.
Cinquanta milioni di sterline, cifra record al tempo per il calcio inglese e Fernando Torres diventa un calciatore del Chelsea.
E’ prossimo ai 27 anni, nel pieno della maturità calcistica, ma la fase ascendente della sua carriera calcistica è finita.
Il killer spietato di Liverpool sarà d’ora in poi solo un ricordo sbiadito, una speranza  continuamente disattesa, un ricordo dolce e amaro allo stesso tempo.
Qualcosa nella sua mente si inceppa, qualche sicurezza, qualche convinzione, qualche certezza svanisce.
Non siamo degli psicologi nè abbiamo la pretesa di esserlo ma è chiaro ed evidente anche dal semplice linguaggio del corpo che Torres non è più il giocatore che era solo pochi mesi prima.
Provate ad immaginare il vostro amico lontano anni luce da qualsivoglia pratica sportiva, quello che quando si fanno le partitelle in oratorio viene puntualmente scelto per ultimo.
Ecco ora ripercorrete nei cassetti della vostra memoria i palloni calciati maldestramente, i gol sbagliati in modi incomprensibili, occasioni fallite quando letteralmente “era più difficile buttarla fuori che dentro”.
Il Niño in pochi mesi a Londra diventa quel tipo di calciatore.
E’ solo l’ombra del talento che aveva incantato milioni di tifosi.
Come se non bastasse, il dominio continentale del Barcellona contagia anche il modulo della Roja, il “falso nueve” lo condanna a riserva di lusso anche nella sua nazionale, rendendolo marginale e superato.
Con i Blues nonostante il crollo personale, ironia del destino, vince praticamente tutto.
Champions League nel 2012 ed Europa League nel 2013.
La sua stagione 2012/2013 è la migliore sul Tamigi, miglior marcatore della squadra con 23 reti.
Lo scorso anno con l’avvento di Mourinho i suoi alti (pochi) e bassi (molti) han continuato a caratterizzare la sua stagione.

Trasformato da punto di riferimento della squadra, da terminale offensivo e finalizzatore designato a ad “onesto lavoratore della pelota” a “sponda per i compagni”, la sua parabola discendente è continuata inesorabile.
Il meccanismo inceppatosi 3 anni prima non è più tornato a funzionare e la sensazione è che Torres abbia, ad un certo punto, rinunciato.
L’espressione del suo volto ci parla di un professionista serio determinato a svolgere il proverbiale “compitino”, quasi consapevole che sia per lui ormai impossibile eccellere, andare sopra le righe come era sua abitudine fare.
Tra parentesi si sta parlando di un calciatore che ha vinto Champions League, Europa League, Coppa d’Inghilterra, 4 titoli Europei con la Spagna (u-16, u-19 e 2 con “i grandi”) ed una Coppa del Mondo. Giusto per sfatare miti e convinzioni che lo vogliono “perdente”.Fernando Torres
Si parlava però del Condor.
4 mesi al Milan, prigioniero di un modulo che non necessita di lui, i risultati lo hanno relegato in panchina.
Un vero 9 come Pippo Inzaghi non ha potuto e/o non è riuscito a rispolverare il vecchio “bimbo” assopito ed è arrivata la bocciatura definitiva.
Dopo pochi mesi Torres è costretto a rifare i bagagli, stavolta però si torna a casa, a Madrid, sponda Atletico.
Ora gli anni sono 30, i paragoni col passato sono utili il giusto.

Calcio-Torres-icon1
Dopo 7 anni il figliol prodigo ritorna dove tutto è cominciato.
Al Vicente Calderon in 45.000 tifosi si sono presentati a tributargli un gigantesco Bentornato.
Quarantacinque mila persone in delirio con le sciarpe bianco-rosse dei Colchoneros si sono presentate per il ritorno di un giocatore ormai non più nel fiore degli anni e lontanissimo parente del ragazzo che nel 2007 lasciò Madrid.
L’affetto dei tifosi è stato quasi commovente, simbolo di una passione che travalica il mero lato economico, l’interesse spicciolo.
Un affetto che riesce ad andare oltre anche al lato sportivo, perché con buona probabilità non sarà il giocatore che cambierà le sorti della squadra, l’apporto che potrà dare sul rettangolo verde non sarà così decisivo da giustificare tanto calore (spero naturalmente di sbagliarmi).
Questa grande accoglienza è sintomo di un affetto puramente carnale e sentimentale, emotivo.
L’abbraccio di una comunità intera che non ha aspettative, non ha pretese, ma è semplicemente felice di poter condividere di nuovo un pezzetto di vita insieme.
L’abbraccio di un padre verso il proprio figlio in difficoltà che vuole tornare sui propri passi, un abbraccio incondizionato, nostalgico e romantico.
E lo sapete bene, a noi un pizzico di romanticismo in un mondo così crudo e materialista ci piace da impazzire e non abbiamo il timore di apparire noiosi e sentimentalisti, ma anzi, lo speriamo con tutto il cuore.
Bentornato a casa Niño! Mucha suerte!
Passo e chiudo.



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