Resilience.

Resilience.

In psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità.

Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.

E’ il 26 febbraio 2007 e l’immagine l’avrete vista 200 volte su qualche canale Youtube, è cruda, impietosa, drammatica.
Un normale lay-up durante una gara non indimenticabile tra Clippers e Bobcats si trasforma in tragedia.
Qualunque legamento del ginocchio salta di netto.
Crociato anteriore? Ovviamente sì.
Crociato posteriore? Perché no.
Mediale-Collaterale? Pure questo.
Menisco? Sbriciolato.
Come ciliegina sulla torta anche una lussazione della rotula e la corsa in
ospedale dove il primo responso è chiaro: Amputazione.

Facciamo un passo indietro.
Il personaggio in questione è Shaun Livingston.
McDonald’s All American tra Richwoods HS e Peoria Central HS, Playmaker di oltre due metri che (senza voler sembrar blasfemi) ha portato molti addetti ai lavori ad etichettarlo come il Nuovo Magic.

Cresciuto con i filmati di Pistol Pete Maravich.
“Quasi una bibbia” per lui, un ball-handling da far invidia a giocatori 20 cm più bassi (capelli esclusi si intende) ed uno strapotere a livello nazionale che lo porta a ricevere la lettera di reclutamento da Coach K.

Le sirene del professionismo sono troppo allettanti.
Rinuncia all’esperienza a Duke e si rende eleggibile per il Draft NBA 2004 dove verrà scelto con la quarta chiamata assoluta dalla franchigia meno nobile di Los Angeles, i Clippers.
Due anni e spicci di alti e bassi alla corte di coach Mike Dunleavy.
Due anni e spicci di grandi giocate, di talento, di energia e perché no anche di ingenuità tipiche di un ventenne, con un’unica certezza davanti a sè: un sicuro avvenire.
Poi il crack, l’infortunio che a 22 anni può decretare la fine di una carriera, un infortunio tale da poter decidere cosa ne sarà di te “da grande”, un trauma dal quale comprensibilmente un ragazzo ha il diritto di non riuscire a rialzarsi.

Il periodo che ci separa da quella data ad oggi è quello che più propriamente si può definire un calvario.
600 giorni per tornare ad allenarsi.
“E’ stato il periodo più duro della mia carriera  ma è stato tanto tempo fa. Non potete immaginare quanto abbia lavorato per rialzarmi. Ora cerco di pensare solo al presente. Non posso continuare a vivere nel passato”.
Musica e parole di Shaun Livingston.
Da lì in poi vestirà 8 maglie NBA in 7 anni (Heat, Thunder, Wizard, Bobcats, Bucks, Cavaliers, Nets e Warriors).

Si diceva della Resilienza.
Livingston ne ha dimostrata davvero tanta.
Garbage time, poca credibilità nell’ambiente, un girovagare tra le franchigie NBA che lasciava davvero poco spazio alla speranza di poter tornare ad essere un fattore nella lega.

Poi è arrivata la chiamata di Jason Kidd a Brooklyn.
La fiducia di cui aveva bisogno è arrivata proprio da un ex playmaker al primo anno da allenatore.
Cambio designato di Deron Williams in regia ma con un ruolo assolutamente non da comprimario e spesso sul parquet nei momenti decisivi delle partite.
Playoff ad Est con i Nets con 8.3 punti e 3.3 assist in più di 26 minuti di utilizzo ed una convinzione ritrovata dopo tanta fatica e tanto sudore.

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Il resto è storia recente. Firma del contratto con i Golden State Warriors, una vera contender.
Miglior record in stagione regolare con 6 punti a partita da cambio dell’MVP Steph Curry.
Playoff da assoluto protagonista, spesso in campo nel quarto quarto al fianco del 30 ed una cavalcata che li ha portati dritti alle Finals.

Next step: Lebron James ed i Cleveland Cavaliers.

Sembra retorica, sembrano frasi vuote, ma la carriera di Livingston ha tutto il sapore di una rivincita in divenire.
Dovrebbe essere elogiata come una splendida metafora a cavallo tra sport e vita vissuta.
Rappresenta sicuramente il manifesto della capacità di reagire alle avversità, il manifesto della resilienza.

Son d’accordo con voi, fosse un film, sarebbe la classica sceneggiatura vista e rivista alla nausea in stile leggermente hollywoodiano.

L’eccezionalità di questa storia sta però nell’essere terribilmente reale.
Sta nel racconto della storia di un ragazzo di 22 anni che grazie ad una forza mentale strepitosa riesce a ri-disegnare il proprio destino passando in 8 anni dal rischio di perdere una gamba alle Finals Nba, passando dalla quasi certezza del baratro alla possibilità di raggiungere la gloria e la vittoria più bella.
E per quanto riguarda noi, non possiamo che esserne emozionati e sbalorditi testimoni.

Passo e chiudo.



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